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]]>CAUSE:
Problematica muscolo-tensiva
Disfunzione tra le prime tre vertebre cervicali e il cranio
Atteggiamenti posturali scorretti e/o protratti nel tempo.
Problematica muscolo-tensiva Traumi (cefalee secondarie)
Altre: Fattori contribuenti quali stress, sforzi, fattori ormonali, disturbi del sonno, farmaci, alimentazione.
Il mal di testa muscolo tensivo deve essere trattato andando a valutare le prime vertrebre cervicali, cercando di lavorare tutti i muscoli che gesticono le prime vertebre, in particolar modo i muscoli sub occipitali ma anche pterigoidei, massetere e temporale.
Nel nostro studio abbiamo la fortuna di implementare tecniche massoterapiche con quelle della medicina cinese proprio per il mal di testa. Alcuni punti della medicina cinese, oltre al trattamento di muscoli come massetere, temporale pterigoidei migliorano drasticamente la sensazione di mal testa e anche di pesantezza. Importantissima è la fascia e la respirazione toracica alta.
Tecniche di respirazione e rilassamento vengono associate per cercare di lavorare meno con i muscoli accessori alla respirazione e caricare meno tutta la fasica dorso cervicale. Guarda il video per saperne di più.
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Nella pratica comune la cura per la tendinite si basa soprattutto su terapie fisiche (onde d’urto, tecar terapia, laser), infiltrazioni, massaggio e rinforzo.
Recenti studi dimostrano che per avere una rieducazione rapida, efficace e duratura bisogna abbinare ad esercizi di forza l’utilizzo di esercizi di controllo motorio
Se vogliamo riabilitare un tendine sofferente dobbiamo agire anche con esercizi che stimolino l'attivazione muscolare dando squilibri diversi al muscolo, velocità di esecuzione dei movimenti diversi, carichi diversi.
Quindi il modo migliore per riabilitare una “tendinite” è attraverso l'allenamento sia della forza che del controllo motorio, utilizzando stimoli esterni, per migliorare la capacità del nostro cervello di reclutare i muscoli collegati a quel tendine e a quella catena cinetica.
Nel nostro studio il protocollo più utlizzato a seconda anche della prescrizone medica è l'utilizzo inialmente di tecar terapia e successivamente di esercizi eccentrici a velocità e con carichi e ripetizioni diverse per dare stimolo sia a livello strutturale che a livello nervoso e propriocettivo.
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Articolo di FisioOmnia di Marcella Cerri Milano, Via Amatore Sciesa, 7, 20135 Milano MI.
La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come:
“un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.
Da ciò ne deriva che il dolore non è soltanto legato ad un input sensitivo, ma a tutto il contesto di emozioni che quest’esperienza porta a chi lo prova.
Se proviamo ad immaginare alle conseguenze generate dall’infortunio di un dito ad un impiegato o ad un pianista, è ovvio che, a parità di danno subito, lo stato EMOTIVO che ne consegue è totalmente diverso.
La definizione di dolore continua affermando che quest’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole è associata a un danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.
In altre parole, se ci si frattura una gamba (danno tissutale in atto) è ovvio che questo genererà dolore.
Quando si parla di danno tissutale potenziale si fa riferimento a quel dolore che ci protegge da un eventuale danno, una sorta di allarme che ci avvisa che quello che sta succedendo potrebbe provocare una danno.
Un esempio pratico è quando prendiamo una distorsione di caviglia. I giorni successivi all’evento, camminare ci provoca dolore, quel dolore è in effetti un vero e proprio allarme del nostro cervello che vuole avvisarci che i legamenti della caviglia sono in fase di rimarginazione e che un carico eccessivo potrebbe provocare un potenziale danno.
O un altro esempio potrebbe essere quando si retrae la mano dall’acqua bollente per evitare che avvenga una scottatura che provocherebbe un ustione.
Ciò significa che possiamo provare dolore anche se non c’è di fatto nessun danno, o che possiamo anche NON provare dolore nonostante ci sia un effettivo danno nel nostro corpo.
Quindi il nostro cervello è bravo a indicarci dolore, ma non a indicarci la misura del dolore stesso.
Per citarti due esempi pratici, ti sarà capitato di sbattere un dito del piede contro qualcosa, l’effetto è un dolore atroce nonostante poi, in effetti, nella maggior parte dei casi, non ci sia nessun danno; o quando ci si taglia con la carta, in quel caso il taglio è davvero piccolo, ma il dolore che proviamo è molto alto.
Situazione analoga ma invertita, quando succede di procurarsi dei tagli o delle ferite e non accorgersene. Nel momento in cui ci accorgiamo o qualcuno porta la nostra attenzione a quella ferita iniziamo a percepire dolore.
Il dolore è un sofisticato sistema di allarme messo in atto dal nostro cervello per proteggerci.
E’ il modo che ha per chiederci di fare qualcosa per modificare una determinata situazione potenzialmente pericolosa.
Ma questo sistema è bravo nel dirci quando c’è un potenziale problema, ma non è particolarmente bravo a darci l’entità di tale problema.
Un po’ come il sistema di allarme antincendio che suona sia perché potrebbe esserci un incendio sia perché qualcuno ha acceso una sigaretta in bagno.
Può succedere inoltre che l’allarme continui a suonare anche dopo che l’incendio è stato spento.
E’ questo il caso che più si avvicina a quella condizione di dolore definito come cronico e cioè che dura da oltre 3 mesi.
E’ importante sottolineare a tal proposito che maggiore è il tempo che è passato dall’insorgenza del dolore meno questo ha a che fare con un effettivo danno nel corpo. Questo perché noi siamo tessuto biologico e in quanto tale capace di auto ripararci.
Il dolore è il frutto di una complessa e rapidissima elaborazione di dati che avviene all’interno del nostro cervello. In pratica al cervello arriva un’informazione più o meno spiacevole, questa viene elaborata da una fitta rete neurale chiamata neuromatrice e a quel punto deciderà se quell’informazione che è arrivata deve generare una risposta di dolore e in che misura.
Inoltre il nostro corpo è collegato al nostro cervello attraverso mappe motorie, connessioni neurali deputate al controllo di singole aree del corpo.
Esistono mappe motorie per ogni parte del corpo e in ognuno di noi queste mappe sono più o meno sviluppate e in continuo cambiamento per effetto della neuroplasticità.
Per farti un esempio le persone non vedenti e che sono capaci di leggere l’alfabeto in braille toccando quei micro puntini sugli oggetti, avranno delle mappe motorie legate alle dita molto sviluppate a discapito delle mappe motorie deputate al controllo della vista o degli occhi.
Ecco queste mappe motorie possono sbiadire e perdere la loro efficacia quando ci troviamo di fronte ad una condizione di dolore cronico. In pratica quella parte del corpo affetta da dolore da tanto tempo avrà le mappe motorie poco efficienti cosicché quando al cervello arriva uno stimolo durante un movimento che normalmente non dovrebbe provocare dolore, il cervello nel dubbio, per precauzione genera dolore per evitare che ci possa essere un potenziale danno anche se non c’è nulla che potenzialmente potrebbe provocare danni.
Assolutamente si! Il movimento è la soluzione. Evidenze scientifiche provano gli effetti benefici del movimento sul dolore cronico.
Il movimento infatti va a rinforzare quelle connessioni neurali perse nelle mappe motorie deputate al controllo di quelle parti del corpo sofferenti da tempo.
Inoltre l’esercizio fisico ha un ruolo determinante nel modulazione discendente del dolore.
E’ in pratica la manopola del volume che regola il dolore.
Il nostro cervello come già detto può aumentare o diminuire una percezione di dolore.
L’esercizio fisico agisce regolando il dolore al ribasso attraverso due processi:
• produzione di serotonina ed endorfine che sono neurotrasmettitori del benessere
• ricostruzione delle mappe motorie
Ma questa modulazione sulla risposta al dolore viene influenzata anche da molteplici fattori come:
• le credenze in merito al dolore, (esempio concezione di dolore=danno)
• le esperienze passate in merito al dolore,
• aspettative in merito alla propria guarigione,
• lo stato emotivo,
• influenze delle persone in cui riponi fiducia (famiglia, amici, medici, fisioterapisti ecc),
• sonno,
• nutrizione,
• stress,
• stato economico (se questo desta preoccupazione).
Tutti questi fattori sono in grado di modificare in meglio o in peggio la percezione del nostro dolore!
A tal proposito Louis Gifford usa la metafora della brocca che può essere riempita dai vari fattori citati, ovviamente per quanto peso hanno in quel momento della tua vita. Nel momento in cui la brocca è piena e l’acqua comincia a fuoriuscire, ecco che inizierai a percepire dolore.
Nel caso di una persona che ha subito un grave infortunio è chiaro che la brocca sarà quasi del tutto riempita da fattori legati al danno fisico e allo stress che ne consegue.
Allo stesso tempo la brocca di una persona che sta vivendo un periodo emotivamente difficile in quel momento della sua vita, per la perdita di un congiunto o per aver perso il lavoro, sarà riempita da fattori psicologici e quindi legati al suo stato emotivo, per cui probabilmente un semplice fastidio in lui sarà percepito come un grande dolore.
Questo è uno dei motivi perché il dolore negli stati cronici, e cioè che durano da più di 3 mesi, è formato da alti e bassi, o perché tendenzialmente in stati di poco stress come ad esempio in vacanza, la percezione del dolore è inferiore.
La soluzioni a tale problema sono 2: costruire un brocca più grande o svuotarla almeno parzialmente di acqua. Ovviamente la combinazione delle 2 porta ad un miglior risultato!
Articolo di FisioOmnia di Marcella Cerri Milano, Via Amatore Sciesa, 7, 20135 Milano MI
]]>La perdita di funzione contenitiva della guaina tendinea che avvolge i due muscoli retti addominali, compromette la qualità della vita sia dal punto di vista fisico che psicologico.
CAUSE:
RISOLUZIONE SPONTANEA
E’ abbastanza comune che le donne dopo il parto hanno una distanza che separa il muscolo retto addominale destro dal sinistro di circa 2,5 cm e nella maggior parte dei casi la diastasi addominale si risolve spontaneamente entro i primi mesi dal parto.
Ci sono però alcune situazioni in cui la diastasi addominale rimane presente e si nota visivamente un gonfiore nella zona addominale, oltre che a difficoltà digestive e talvolta incontinenza.
Inoltre la debolezza della muscolatura addominale può portare a disturbi anche a livello della schiena, in particolare per i soggetti che hanno una postura in iperlordosi.
COME SCOPRO SE HO LA DIASTASI ADDOMINALE?
Esiste un esame obiettivo che il paziente può eseguire autonomamente sollevando il capo da supino.
Palpando con le dita in mezzo al retto addominale lungo la linea alba si verifica quanto affondano le dita e quanto è ampio lo spazio della diastasi. Inoltre, sempre sollevando il capo, compare una prominenza (cresta) che parte dallo sterno e arriva fin sotto l’ombelico.
La DIAGNOSI si può verificare con un’ecografia così da quantificare il “gap” tra i due retti.
SI PUO’ PREVENIRE?
SI! Ci sono diversi esercizi da eseguire per rinforzare la parete addominale, in particolare lavorando con i muscoli del pavimento pelvico che vengono messi particolarmente sotto sforzo durante il parto.
L’attività fisica durante la gravidanza è mirata quindi alla tonicità del pavimento pelvico e al mantenimento di una corretta postura. Abbinare inoltre una corretta respirazione diaframmatica con la contrazione muscolare pelvica aiuterà la prevenzione della formazione di diastasi addominale.
TRATTAMENTO:
Per i pazienti con diastasi addominale di 2-3 cm ci sono molti esercizi che possono diminuire questo “gap” tra i muscoli retti dell’addome.
Molti pazienti che soffrono di mal di schiena o dolore al bacino risolvono il loro problema lavorando proprio sulla muscolatura addominale e sulla postura così da dare il giusto sostegno al tronco, oltre che ad un miglioramento nella digestione, continenza e benessere psicologico.
Se invece i pazienti presentano una distasi al di sopra dei 5-6 cm sarebbe meglio rivolgersi ad un medico specialista che prenderà in considerazione l’ipotesi di un intervento di addominoplastica (sconsigliato se si ha in programma un’altra gravidanza), ma comunque è consigliabile un tentativo di trattamento conservativo.
Qui di seguito trovi un video riassuntivo e video esercizi.
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Le cause del mal di schiena sono dovute principalmente a 2 motivi:
Il 90% dei mal di schiena è di natura muscolare/fasciale!
Tecar e massoterapia sono le terapie più suggerite in ambito medico ma...
L'esercizio in un fase non acuta è fondamentale per un ripristino della funzionalità della schinen e per non incorrere in recidive.
E’ ora di attivarsi per RISOLVERE il tuo mal di schiena. Affidati a veri professionisti, affidati a STUDIO TERAPIA E POSTURA.
N.B per eseguire la terapia manuale (detraibile fiscalamente) abbiamo l'obbligo di prescrizione medica di "massoterapia", anche da parte del medico di base, su foglio bianco.
Scrivici per qualsiasi informazione tramite whats'app o il form contatti.
]]>Nel video sopra parliamo inizialmente di trattamento su un fastidio ( il più delle volte lombare) e poi di allenamento, a prescindere da dolori muscolo articolari o meno. Eseguiamo sedute individuali. ( richiediamo sempre la prescrizione del vostro medico o ginecologo)
Avere un buon grado di allenamento in gravidanza e migliorare il proprio stato fisico metabolico ridurrà il rischio di dolori alla schiena, problemi di sciatalgia oltre ad essere di grande aiuto e supporto nel momento di massimo sforzo durante le contrazioni per portare alla luce il vostro bambino.
Avere un buon tono muscolare addominale e del pavimento pelvico, oltre che una migliore consapevolezza del proprio corpo, potrebbe essere di aiuto durante la fase di espulsione, riducendo le sofferenze sia per la mamma che per il nascituro.
Inoltre l’allenamento durante la gravidanza migliora il sistema cardio circolatorio che sappiamo essere la via di nutrimento del feto annullando il rischio di diabete gestazionale.
E’ scientificamente provato che con l’esercizio fisico i vasi sanguigni del bambino saranno più resistenti, riducendo eventuali problematiche cardiovascolari.
Chiedere sempre consiglio al medico e al ginecologo, in rari casi è sconsigliato l'alltenamento per rischi relativi al liquido amniotico, al distaccamento della plancenta. Il nostro studio esegue sia lezioni individuali che di gruppo sempre su prescrizone medica o consiglio medico che specifica che è una ginnastica in gravidanza e con che non ci siano controindicazioni.
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